domenica, maggio 21, 2006

Il "potere di grazia"

LA SENTENZA n. 200/2006 della CORTE COSTITUZIONALE
CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLE STATO
tra
Presidente della Repubblica e Ministro della Giustizia
sulla titolarità del potere di grazia

Fonti giuridiche

art. 87 della Costituzione
“Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.
Può inviare messaggi alle Camere.
Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.
Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.
Promulga le leggi ed emana i decreti aventi forza di legge e i regolamenti.
Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.
Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.
Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere.
Ha il comando delle Forze Armate, presiede il Consiglio superiore della magistratura.
Può concedere grazia e commutare le pene.
Conferisce le onorificenze della Repubblica”.

art. 89 della Costituzione
“ Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità……..”.

art. 90 della Costituzione
“Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per tradimento o per attentato alla Costituzione”.

art. 27 comma 3 della Costituzione
“ Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Non esiste altra normativa che disciplini questo particolare istituto, qual è quello della grazia, salvo alcuni articoli del Codice Penale e del Codice di procedura penale che attengono, tuttavia, solamente agli effetti che questo “atto di clemenza” produce sulla pena già irrorata in via definitiva dalla magistratura ordinaria.

Giurisprudenza
La Consulta ebbe già in passato ad occuparsi di due vicende la prima analoga a quella ora in esame e la seconda, pur vertente su una diversa fattispecie, contiene un passaggio dove si fa riferimento all’istituto della grazia.
la prima attiene al contrasto insorto tra l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il quale era propenso a concedere la grazia a Renato Curcio, il leader ed ideologo della brigate rosse, ed il ministro Guardasigilli Claudio Martelli che non ne condivideva il parere. Il conflitto tra i due poteri dello Stato venne portato davanti alla Corte Costituzionale dal ministro che poi ebbe a ritirare il ricorso per cui la Consulta, con l’ordinanza n. 379/91 del 09 10 1991, dichiarò l’estinzione del processo senza entrare nel merito della querelle costituzionale.
nella seconda, ripetiamo, pur riguardando un caso molto diverso, nella sentenza (n. 379/91 del 09 10 91 – estensore il noto giurista Prof . Gallo) la Corte Costituzionale inserisce un passaggio che così recita: “Il provvedimento di grazia è l’effetto della collaborazione fra il potere del Capo dello Stato e quello del competente ministro della Giustizia che controlla l’atto e ne assume la responsabilità…”.

Dottrina
Premesso che gli studiosi di diritto costituzionale erano unanimi nel riconoscere l’esclusività del potere del Presidente della Repubblica a concedere la grazia ad un detenuto che sconta la pena inflittagli a seguito di una sentenza definitiva, passata cioè in “cosa giudicata”, rimaneva invece da verificare se il comportamento omissivo del ministro della Giustizia potesse o meno considerarsi ostativo alla concessione dell’atto di clemenza; ed proprio questo il punto attorno al quale si sono formate due diverse e contrastanti correnti di pensiero.
Da un lato veniva decisamente affermata come indispensabile la dualità dell’atto, quindi la firma congiunta dei due organi costituzionali dello Stato, mentre dall’altro veniva messa in risalto la circostanza secondo la quale, trattandosi di una prerogativa esclusiva del Capo dello Stato, così come quella di eleggere 1/3 dei membri della Corte Costituzionale e della nomina dei senatori a vita, poteva bastare per la sua validità la sola firma del Presidente della Repubblica. Aggiungevano, inoltre, a rafforzamento della loto tesi, come l’atto in discussione non implicasse alcuna responsabilità politica, quella che dovrebbe assumersi il ministro con l’apposizione della sua firma, a carico del Presidente firmatario.
Il contrasto era tuttavia evidente per cui si sentì la necessità di evitare questa tipologia di contrasti con una modifica ad hoc del dettato costituzionale in modo da non lasciare per il futuro alcun dubbio sulla sua interpretazione.
A tanto si pensò di ovviare attraverso la presentazione da parte di Marco Boato di una proposta di legge che avrebbe dovuto eliminare questo pasticcio tecnico – giuridico tra norme costituzionali in conflitto tra loro, non solo in apparenza.
Ma non fu così perché, arenatasi per le lunghe discussioni sul tipo di legge, normale o costituzionale, da adottare per ovviare al succitato contrasto, la proposta di legge Boato venne nel marzo 2004 definitivamente affondata alla Camera con i voti contrari di AN, della Lega e di parte di F.I.

L’antefatto
L’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dopo aver esaminato la posizione di Bompressi – in precarie condizioni di salute tali da sconsigliare il perdurare della detenzione - e di Sofri, ex leaders di Lotta Continua condannati alla pena detentiva di anni 22 per l’omicidio Calabresi, sin dal 2002 aveva maturato un orientamento favorevole per la concessione in loro favore di un atto di clemenza ma si scontrò subito con il ministro Castelli il quale non condivideva il proposito del Capo dello Stato.
Il Guardasigilli, infatti, con una nota del 24 novembre 2004 indirizzata al Presidente della Repubblica giustificò il suo dissenso scrivendo che non ne condivideva le motivazioni “né sotto il profilo costituzionale né nel merito”.
Ad evitare il conflitto tra poteri dello Stato il Quirinale intese in un primo tempo rinviare il problema nella speranza che venisse approvata dal Parlamento la legge Boato.
Ma, una volta preso atto che questa legge non era passata al vaglio della Camera dei deputati e perdurando il dissenso del ministro che non intendeva ancora predisporre il decreto di concessione della grazia in favore di Bompressi (per Sofri c’era il problema che non aveva voluto presentare la relativa domanda) al Presidente della Repubblica non restò altro che presentare in data 10 giugno 2005, tramite l’Avvocatura Generale dello Stato, un ricorso alla Corte Costituzionale affinché decidesse su questo conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
Come meglio vedremo in prosieguo, è stata proprio con la motivazione contenuta nella sua nota che l’ex ministro si è tirato, come si suole dire, la zappa sui piedi, avendo indebitamente invaso un campo non di sua competenza.

La sentenza n. 200/2006 del 03 05 2006 depositata il 18 maggio 2006 – estensore Alfonso Quaranta-
Incominciamo dal dispositivo di questa lunga, elaborata e dotta sentenza :
“ La Corte Costituzionale dichiara, in accoglimento del ricorso , che non spettava al Ministro della Giustizia di impedire la prosecuzione del procedimento volto all’adozione della determinazione del Presidente della Repubblica relativa alla concessione della grazia ad Ovidio Bompressi e, pertanto, dispone l’annullamento della impugnata nota ministeriale del 24 novembre”.
Per farla breve, la Corte Costituzionale, ravvisando che il thema decidendum riguardasse non tanto la titolarità del potere di concedere la grazia, espressamente attribuita dall’art. 87 al Presidente della Repubblica, bensì le concrete modalità di esecuzione di tale diritto ha espresso alcuni principi che adesso dovranno, per coerenza e necessità, essere introdotti nelle norme costituzionali, che si possono così riassumere:
· “il potere di grazia ha finalità essenzialmente umanitarie……la cui funzione è quella di attuare i valori costituzionali consacrati nel terzo comma dell’art. 27 della Costituzione” tenuto anche conto dell’ineludibile principio desumibile dall’art. 2 della Carta costituzionale ( “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…) ;
· “ ….determinando l’esercizio del potere della grazia una deroga al principio della legalità il suo impiego debba essere contenuto entro ambiti ben circoscritti determinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria …Ciò vale a superare il dubbio – al quale ha fatto riferimento lo stesso Guardasigilli nella nota….- che il suo esercizio possa dare luogo ad una violazione del principio di eguaglianza consacrato nell’art. 3 della Costituzione
( “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”);
· “ ….la giurisprudenza della Corte, induce a ritenere .....come oramai consolidato l’orientamento che, con implicito riferimento al principio della separazione dei poteri, esclude ogni coinvolgimento di esponenti del Governo nella fase dell’esecuzione delle sentenze penali di condanna…”
· viene espressamente riconosciuto la possibilità che “…la grazia sia concessa anche in assenza di domanda o proposta..”;
· “ In ogni caso l’iniziativa potrà essere assunta direttamente dal Presidente della Repubblica al quale da tempo è riconosciuto tale potere”.
· “ ..un eventuale rifiuto da parte del ministro precluderebbe , sostanzialmente, l’esercizio del potere di grazia con conseguente menomazione di una attribuzione che la Costituzione conferisce – quanto alla determinazione finale – al capo dello Stato”.
· nel caso normale di richiesta di grazia da parte del condannato, essendo il ministro il titolare dell’istruttoria da lui demandata all’autorità giudiziaria competente la sua firma riveste carattere “sostanziale”, trattandosi di un atto di tipo governativo;
· se invece è il Capo dello Stato ad assumere l’iniziativa per la concessione dell’atto di clemenza il Guardasigilli, in caso di sua non condivisione, potrà solamente rendere note al Presidente della Repubblica “le ragioni di legittimità o di merito che, a suo parere, si oppongono alla concessione del provvedimento ma deve controfirmare il decreto concessorio”. In tal caso la firma riveste solamente un carattere formale perché attesta “la regolarità e completezza dell’istruttoria e del procedimento seguito.
Vi sono ancora altre puntualizzazioni ma crediamo che già queste possano bastare per
fare intendere come il potere “eccezionale” della concessione della grazia ad un condannato, come affermato dalla Consulta, non possa che essere di competenza assoluta di una persona super partes , rappresentante dell’unità nazionale , al di fuori di ogni “indirizzo politico-governativo”; in buona sostanza all’unica figura istituzionale “imparziale”.
La sentenza, chiarita la titolarità, la tipologia e la funzione dell’atto di grazia, indica anche precise regole procedurali cui attenersi per evitare ulteriori contrasti in questo delicato campo, delineando con assoluta precisione il confine tra la competenza del Capo dello Stato e del Guardasigilli.

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