lunedì, giugno 09, 2008

Matrimonio religioso negato

NOTIZIA data dalla STAMPA

IL VESCOVO DI VITERBO NEGA MATRIMONIO RELIGIOSO A COPPIA CHE INTENDEVA SPOSARSI COL RITO CANONICO

La motivazione del diniego a causa del grave handicap subito dal nubendo a seguito di un incidente stradale avvenuto due mesi or sono.
In poche parole il futuro marito era divenuto paraplegico con conseguente
“impotentia coeundi” che impediva all’uomo di consumare il rapporto sessuale.
Il matrimonio si è comunque celebrato sebbene con il rito civile.
Questo l’antefatto.
La notizia ha suscitato, come al solito, reazioni diverse, alcune delle quali del tutto scomposte e fuori luogo anche se “prude” alla coscienza dei più la circostanza che Santa Romana Chiesa neghi, in casi come questi, ai più deboli, e quindi bisognosi di un qualcosa di più di una particolare attenzione, la sua confortevole assistenza in tutti i campi.
Insomma anche loro sono ritenuti diversi come appartenessero ad una razza spregevole ?
Da un punto di vista generale dobbiamo però comprendere che il diritto canonico e quello civile differiscono su questo punto per ovvi motivi concettuali.
Per il diritto canonico il matrimonio è un sacramento per il nostro diritto civile è un vero e proprio contratto regolato da norme di comportamento con tanto di obblighi patrimoniali ed assistenziali.
L’impotentia coeundi, che differisce da quella “generandi”, impedisce l’atto sessuale avente come finalità la procreazione.
Per la Chiesa il matrimonio di cui si è parlato in questi giorni sarebbe nullo sin dall’origine ed è causa di annullamento, assieme al matrimonio rato e non consumato, qualora il fatto venga portato al giudizio della Sacra Rota.
Per il nostro diritto civile il matrimonio potrà essere annullato solamente nel caso in cui l’impotentia coeundi sia stata sottaciuta all’altro coniuge il quale, ove l’avesse conosciuta, non avrebbe dato il suo consenso; si deve inoltre interrompere la coabitazione, ossia la convivenza, entro un anno dalla scoperta dell’handicap impeditivo.
E’ ovvio che non tocca a noi mettere il becco sul diritto canonico anche se un siffatto comportamento non è, allo stato dei fatti, bilaterale; prova ne sia la campagna ecclesiale di questi ultimi tempi sull’istituto dell’eutanasia, del divorzio, dell’aborto, dei dico, della fecondazione assistita, ecc.
Comunque l’art. 1084 del Codice di diritto canonico afferma:
“L’impotenza a compiere l’atto sessuale antecedente e permanente, sia da parte dll’uomo che della donna, sia assoluta che relativa, per sua stessa natura dirime il matrimonio…”.
L’impotenza coeundi deve avere però i seguenti requisiti, deve essere cioè:
- antecedente al matrimonio;
- perpetua;
- certa.
Certamente, pur comprendendo il senso del no vescovile, resta anche a me il rammarico nel constatare come la Chiesa, che nel corso dei secoli ha cambiato molte cose, rimanga ancora molto lontana dalle persone più deboli.
E dire che per anni ed anni l’atto sessuale interrotto nella sua parte finale in varie maniere era considerato un “peccato mortale” perché privato del suo fine, quello della procreazione, ed oggi non più.
Perché allora non rivedere qualche norma canonica per adeguarla a casi come quello di cui si è tanto parlato o, quanto meno ad ammorbidirla ?
Mi rallegra tuttavia la circostanza che il loro parroco non abbia fatto mancare la sua presenza al matrimonio civile della coppia in questione.



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