sabato, novembre 15, 2008

La storia d'Italia s'intreccia anche con quella della P2

La libertà è come l’aria.
Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.
Ricordatevi, ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica”.
Piero Calamandrei
(dal discorso agli studenti milanesi – gennaio 1955)
IO C’ERO
e da quel giorno per me fu primavera, una nuova stagione piena di promesse ma che stentavano a concretizzarsi.
Incominciai a battermi contro chi voleva che il disastroso inverno, oramai da qualche anno passato alle nostre spalle con centinaia e centinai di migliaia di morti, ritornasse.
Oggi, più di ieri, quel pericolo è più che mai incombente; siamo alle soglie dell’asfissia ed il nemico della libertà da contrastare è subdolo perché non mostra mai la stessa faccia ceronea.
Lavora occultandosi dietro ogni angolo delle nostre vie, delle piazze, dietro gli alberi ma anche in casa nostra, trovando ospitalità per tutte le ore del giorno e della notte nei tubi catodici dei nostri televisori e ti illude parlando, parlando, parlando con un sorrisino suadente ma falso.
Ti prende in giro, sta tentando di plagiarti.
Si è già appropriato di quasi tutti i mezzi di comunicazione e mal sopporta chi si azzarda a controbattere le sue argomentazioni.
Abbiamo epurazioni in grande stile, alcune anche palesi ma altre fatte passare sotto silenzio.
E parla, parla, parla ed il giorno dopo, dovendo smentite alcune sue “perle” divulgate il giorno prima, ancora parla, parla, parla sino a che l’ascoltatore non può che dire :ma come e quanto parla, per insistere così deve avere ragione.
Questo è l’inizio della nostra fine.
Necessita, quindi, andare indietro nel tempo e raccontare alcuni dettagli della nostra storia per comprendere con chi si ha a che fare e quale pericolo stiamo correndo.

SASSOLINO
contro
MACIGNO
Il primo - CGIL- nella scarpa del premier, il secondo – il premier piduista- sulle nostre spalle
Parte seconda

Nel precedente post ho parlato del “Piano di rinascita” della P2 illustrandone solamente la parte riguardante l’intervento “urgente” da farsi sui sindacati per portarli alla divisione, condizione essenziale per poter trasformare quello che sarebbe rimasto dopo la “cura” in un unico sindacato padronale con ramificazioni in ogni azienda.
Rimane tutto il resto, e non è poco, che vedremo se non dopo aver fatto in via preliminare cenno su chi erano i piduisti inclusi nell’elenco della setta ; solamente così ognuno potrà trarre le proprie conclusioni pro futuro una volta compreso in quali mani ci siamo andati a cacciare privilegiando, col voto, proprio il miglior suo adepto indicato sia ieri che oggi dal Gelli, l’ex venerabile, come l’unico uomo in grado di attuare al 100% il Piano di Rinascita della P2.
Incominciammo ad aprire gli occhi sull’intera vicenda, sino ad allora tenuta sotto il più assoluto segreto istruttorio, agevolati in ciò dal fatto che in data
20 maggio 1981
venne dato il via libera alla pubblicazione integrale degli elenchi degli appartenenti alla P2.
Sin dalla prima e fugace lettura di tali nomi apparve chiaro a tutti come in Italia si fosse radicato una specie di governo parallelo, uno Stato nello Stato:
nella P2 erano confluiti ben 4 ministri od ex ministri, 44 parlamentari, tutti i vertici dei servizi segreti, il comandante della Guardia di Finanza, alti ufficiali dei Carabinieri, militari, prefetti, funzionari, magistrati banchieri, imprenditori, direttori di giornali, giornalisti e così via.
Il governo Forlani dopo pochi giorni da questa pubblicazione è costretto a dare le dimissioni e nasce così il primo governo laico della storia italiana, guidato da Giovanni Spadolini, un repubblicano dotato di un enorme spessore culturale ed umano: un grande che in molti hanno di già, purtroppo, dimenticato.
Viene subito varata una Commissione d’inchiesta sulla loggia di Gelli sotto la presidenza di una ex partigiana, Tina Anselmi e, in contemporanea, varata una legge, non certo come une delle tante “ad personam” confezionate a salvaguardia di un personaggio, bensì una che vietava la costituzione di associazioni segrete e lo scioglimento della setta P2.I capi dei servizi segreti vennero subito licenziati, altri subirono procedimenti disciplinari ed una ventina di affiliati finì sotto processo.
La magistratura incominciò ad indagare a tutto tondo in quanto si fece sempre più strada l’ipotesi che la P2 avesse realizzato una vera e propria cospirazione politica contro le istituzioni della Repubblica.
Sono passati da allora poco più di 27 anni ed il più noto degli adepti rimane Silvio Berlusconi che è riuscito nell’intento di divenire Premier per ben quattro volte e, ad ogni legislatura, prepararsi una specie di scudo che lo salvaguardasse da eventuali condanne in sede penale anche per reati commessi ancor prima della sua elezione a deputato ed a Premier.
L’antefatto
Ho anticipato nel precedente post come la scoperta dei questa P2 avvenne per un caso; la stampa aveva sì adombrato la presenza in Italia di un qualcosa di misterioso che si vedeva collegata ad alcuni avvenimenti di un certo peso non propriamente del tutto chiari e puliti.
A Milano, presso la locale Procura, vi erano in corso due indagini giudiziarie: una riguardava l’assassinio in Milano – datato 11 luglio 1979 – di un mio grande amico e collega universitario Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore delle banche di Michele Sindona e l’altra una assai strana scomparsa – spacciata come rapimento - a New York nell’agosto 1979 e poi ricomparso il 16 ottobre.
Sindona , è stato appurato in sede giudiziaria, fu il mandante dell’omicidio del povero Giorgio.
Queste due inchieste portarono a scoprire l’esistenza della P2.Le indagini erano state affidate a due giovani e valenti giudici istruttori che, a quei tempi , rivestivano la figura sia di investigatore che quella di giudice.
Uno di loro, il dr. Turone, poco più che trentenne, era entrato di persona nel covo-prigione di uno dei primi sequestrati italiani, l’imprenditore Luigi Rossi di Montelera; e nel 1974 aveva fatto arrestare il responsabile, un ometto siciliano che abitava in via Ripamonti 84, a Milano, e che sulla carta d’identità aveva scritto Luciano Leggio, anche se era già noto come boss di Cosa nostra con il nome di Luciano Liggio.
Il secondo magistrato era Gherardo Colombo, un giovanottello che arrivava a palazzo di giustizia con i jeans e la camicia senza cravatta, e sopra gli occhiali aveva una gran corona di capelli refrattari al pettine.
Era cresciuto in una grande casa sui colli della Brianza, padre medico e un po’ poeta, nonno e bisnonno avvocati.
Amava i giochi di logica e il bridge.
Per nove mesi, Turone e Colombo lavorano sodo, macinando assieme decine e decine di interrogatori, perquisizioni, indagini bancarie.
L’inchiesta parve a loro da subito molto affascinante, la trama che andava delineandosi piena di misteri e di colpi di scena.
«Era un tessuto dai cento fili intrecciati»,
secondo Turone,
«così abbiamo cominciato col tirare i fili che sporgevano dalla trama».
Il sequestro di Sindona apparve loro alquanto strano, anche per quella poco credibile rivendicazione del
«Gruppo proletario di eversione per una giustizia migliore».
Strane anche le dichiarazioni giurate che una decina di persone ebbero ad inviare negli Stati Uniti, ai magistrati americani, a testimonianza che il povero Sindona - un bancarottiere che ha lasciato sul lastrico centinaia di clienti-
è perseguitato dai magistrati italiani soltanto per la sua fede anticomunista.
(TOH !. GUARDA DA DOVE COMINCIA IL VEZZO DELLA CERONEA FACCIA AD ANDARE CONTRO I MAGISTRATI)
Una delle dichiarazioni giurate- affidavit - è firmata da un certo Licio Gelli.
Dice:
«Nella mia qualità di uomo d’affari sono conosciuto come anticomunista e sono al corrente degli attacchi dei comunisti contro Michele Sindona. è un bersaglio per loro e viene costantemente attaccato dalla stampa comunista.
L’odio dei comunisti per Michele Sindona trova la sua origine nel fatto che egli è anticomunista e perché ha sempre appoggiato la libera impresa in un’Italia democratica».
Lo stile non è dei migliori ma l’ossessione anticomunista è ben presente tanto da apparire come una tara mentale.
Licio Gelli, fascista e massone.
Un Carneide per i più ed anche per i due magistrati perché sino ad allora era effettivamente uno sconosciuto; ma ben presto scoprirono chi fosse: era il Maestro Venerabile della loggia massonica Propaganda 2, che riuniva la crema del potere italiano.
C’era la fila, per ottenere udienza da Gelli nella sua suite all’hotel Excelsior, in via Veneto, a Roma.
La loggia era segreta, per non mettere in imbarazzo i suoi potenti iscritti, dispensati anche dalle ritualità massoniche.
Bastava la sostanza.
Dal racconto di Gianni Barbacetto
“Gelli era arrivato al vertice della P2 dopo una onorata carriera come fascista, simpatizzante della Repubblica di Salò, doppiogiochista con la Resistenza, collaboratore dei servizi segreti inglesi e americani, infine agente segreto della Repubblica italiana.
Volonteroso funzionario del Doppio Stato: soldato, come tanti altri fascisti e nazisti, arruolato nell’esercito invisibile che gli Alleati avevano approntato, dopo la vittoria contro Hitler e Mussolini, per combattere la «guerra non ortodossa» contro il comunismo.
Entrato nella massoneria, aveva contribuito a selezionare, dentro l’esercito, gli ufficiali anticomunisti disposti ad avventure golpiste.
Nel colpo di Stato (tentato) del 1970 aveva avuto un ruolo di tutto rispetto: suo era l’incarico di entrare al Quirinale e trarre in arresto il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, quello che mandava telegrammi a raffica che finivano sempre con un bel «viva la Resistenza, viva l’Italia».
Poi il golpe non ci fu, sospeso forse dagli americani, ma la «guerra non ortodossa» continuò, con una serie di stragi che insanguinarono l’Italia.
Fino al 1974, anno di svolta.
Allora la strategia della guerra segreta contro il comunismo cambiò: basta con la contrapposizione diretta, con i progetti apertamente golpisti, sostituiti da una più flessibile occupazione, attraverso uomini fidati, di tutti gli ambiti della società, di tutti i centri di potere.
La massoneria (o almeno una parte di essa) fornisce le strutture e le coperture necessarie a organizzare questo club del Doppio Stato, questo circolo dell’oltranzismo atlantico.
Nasce la P2 di Licio Gelli.
In cui poi, all’italiana, entrano anche (e per alcuni soprattutto) le protezioni, le carriere, gli affari e gli affarucci.
Ma tutto ciò, tra il 1980 e il 1981, Turone e Colombo ancora non lo sapevano, non lo immaginavano neanche.
I due andavano avanti per la loro strada, a districare i misteri del caso Sindona. La perquisizione fatale.
Scoprono che Sindona non è stato rapito, ma ha organizzato una messa in scena per sparire dagli Stati Uniti e arrivare in Italia, in Sicilia.
Scoprono che è lui a trattare il salvataggio delle sue banche con Giulio Andreotti, a minacciare il presidente della Mediobanca Enrico Cuccia (che si oppone al piano di risanamento), è lui a far uccidere Giorgio Ambrosoli, nella notte dell’11 luglio 1979, con tre colpi di 357 magnum sparati al petto da un sicario che viene dagli Stati Uniti.
A ospitare Sindona a Palermo, in quell’estate di scirocco e di sangue, è un medico italoamericano: Joseph Miceli Crimi, massone, esperto di riti esoterici e di chirurgie plastiche. è lui che spara alla gamba del banchiere, con sapienza clinica, per cercare di rendere credibile il rapimento.
I due giudici istruttori gli sequestrano alcune carte e, tra queste, uno stupido biglietto ferroviario Palermo-Arezzo, usato da Miceli Crimi nell’estate del 1979. Domanda: perché un viaggio dalla Sicilia ad Arezzo?
Risposta: «Per andare dal dentista presso cui ero in cura».
Fantasiosa, ma i due milanesi non abboccano.
Miceli Crimi, messo alle strette, ammette: ma sì, sono andato da un certo Licio Gelli, per discutere con lui la situazione di Sindona.
Questo Gelli comincia proprio a incuriosire i due giudici istruttori.
I personaggi che si muovono attorno a Sindona e si danno da fare per salvarlo, scoprono Turone e Colombo, finiscono tutti per arrivare a Gelli: Rodolfo Guzzi, l’avvocato del bancarottiere; Pier Sandro Magnoni, suo genero; Philip Guarino e Paul Rao, due massoni che incontrano il Venerabile poche ore dopo essere stati ricevuti da Giulio Andreotti.
Ecco perché, nel marzo 1981, i giudici milanesi ordinano una perquisizione di tutti gli indirizzi del Venerabile.
«Cautela assoluta», ricorda Colombo, «avevamo intuito che per ottenere risultati dovevamo procedere con la massima segretezza».
La sera di lunedì 16 marzo 1981 una sessantina di agenti della Guardia di finanza si muove da Milano verso i quattro indirizzi di Gelli annotati su una agenda di Sindona sequestrata al banchiere dalla polizia di New York: villa Wanda di Arezzo, l’abitazione privata; la suite all’Excelsior dove riceveva autorità, politici, postulanti; un’azienda di Frosinone; e gli uffici di una fabbrica d’abbigliamento, la Giole di Castiglion Fibocchi.L’incarico delle perquisizioni è affidato a un uomo di cui Turone e Colombo conoscono la lealtà istituzionale, il colonnello della Guardia di finanza Vincenzo Bianchi.
Ha l’ordine di agire senza informare nessuno e senza avere alcun contatto con le autorità locali, i carabinieri, la polizia, la magistratura del posto, neppure i comandi della Guardia di finanza.
I suoi finanzieri, arrivati in Toscana, non passano la notte nella caserma di Arezzo, ma si disperdono in diverse località lì attorno.
Per tutti, l’appuntamento è all’alba del 17 marzo. Scatta la perquisizione.
Nessun risultato a Roma.
Niente a villa Wanda.
L’azienda di Frosinone è un vecchio indirizzo.
Alla Giole, invece, c’è una montagna di carte.
Gelli non si trova, è a Montevideo.
Ma la sua segretaria, Carla, protegge con vigore i documenti stipati nella scrivania, nei cassetti, nella cassaforte, in una valigia...
Nella cassaforte ci sono gli elenchi della loggia segreta.
«Sequestrate tutto», ordinano, per telefono, i giudici istruttori.
La perquisizione è ancora in corso quando a Bianchi arriva via radio una chiamata del generale Orazio Giannini, comandante della Guardia di finanza: c’è anche il suo nome, in quegli elenchi, come quello del suo predecessore, il generale Raffaele Giudice, come quello del capo di stato maggiore della Finanza, il generale Donato Lo Prete.
E il comandante delle Fiamme gialle di Arezzo, e una folla di generali, colonnelli, maggiori...
segue

1 commento:

Anonimo ha detto...

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