lunedì, dicembre 22, 2008

Le nuove idee del ministro della difesa

L’Esercito si vende i fucili su Internet

 La Russa: i ricavi nel bilancio delle Forze Armate

Il «regalo» di Natale del governo al ministro Ignazio La Russa si chiama «Difesa-Servizi spa».Una società a capitale interamente pubblico.Ma anche una rivoluzione per la burocrazia ministeriale.

«Ci consentirà - dice il ministro della difesa - di avere fonti di introito. In genere guardiamo alla pubblica amministrazione come un soggetto di spesa.  Noi vogliamo farne un soggetto in grado di creare risorse». Un esempio? «S’è già detto dei marchi storici della difesa.

Finora erano privi di tutela. Chiunque poteva fare una maglietta con la scritta “Folgore” e venderla. Ora i marchi delle forze armate saranno tutelati. Ma non ci fermiamo qui. Qualche idea già ce l’ho. Perché non vendere attraverso Internet, per dire, i vecchi fucili dismessi? Prima li rendiamo inutilizzabili, ovvio. Poi li piazziamo ai collezionisti di tutto il mondo». Chi l’avrebbe detto, ci voleva La Russa per svuotare gli arsenali... In verità, la «Difesa-Servizi Spa» è una cosa seria. Maneggerà l’enorme patrimonio immobiliare del ministero e quindi sarà la cassaforte attraverso cui gli introiti delle vendite di caserme e terreni potranno restare in casa. Proteggerà, vendendoli a caro prezzo, i marchi storici. Infine, stipulerà i contratti di sponsorizzazione. Ultimo passo, curerà l’approvvigionamento garantendosi le migliori condizioni di mercato sul modello della Consip (la società del Tesoro che gestisce gli acquisti dei ministeri). 

Il futuro della Difesa, insomma, visti i tagli di Tremonti, passerà dalla capacità di trovare soldi sul mercato. «Per quest’anno - dice ancora il ministro - aggiusto il bilancio grazie al nuovo decreto sulle missioni all’estero. E’ passato il principio che le forze armate non possono svenarsi per finanziare missioni fuori area. Finalmente il Parlamento ci darà una copertura reale dei costi. Il che significa un incremento del trenta per cento degli stanziamenti. E’ una boccata d’ossigeno». Nei prossimi dodici mesi, però, il ministero della Difesa dovrà rifare i conti sul serio. Saranno tagliati i rami secchi. Sarà necessaria una razionalizzazione delle infrastrutture. Si rivedranno i programmi di armamento. S’annuncia anche un Nuovo modello di Difesa, passando da 190 mila uomini e donne in armi a 120 mila circa. E però non basterà. «Ripeto: qualcosa dovremo inventarci. Credo sul serio in questa storia dei collezionisti. Siamo pieni di armi vecchie e superate. Nel mondo c’è chi le pagherebbe bene. Naturalmente, prima, dovranno essere lavorate per bene. Non so, togliendo gli otturatori... Vanno rese inservibili sul serio... Ma a quel punto ci potremmo fare dei soldi». Già, i collezionisti. Sono tanti gli amanti delle armi antiche. Basta farsi un giro su Internet per trovare siti specializzati (eccellente exordinanza.net, armiusate.it, o radicaebaionette.net) con offerte di ogni tipo. 
Un moschetto «Carcano 91/38», che ha fatto la Seconda Guerra mondiale e poi è passato per le mani dei partigiani, viene offerto a quattrocentocinquanta euro. Uno splendido modello 91 del 1918 «canna perfetta, ci sparo ancora», che ha fatto la Prima Guerra mondiale, dotato di cinghia in cuoio originale, può arrivare a milleduecento euro. Le pistole Beretta 34, in dotazione già al regio esercito, e passate poi agli ufficiali della Repubblica, costano tre-quattrocento euro a pezzo. Nulla di totalmente nuovo, si dirà. La Difesa aveva già pensato ai collezionisti. E così come un tempo vendeva attraverso aste (a prezzi ridicoli) gli automezzi dismessi, i mobili scassati, e persino i muli, anche le vecchie armi del nostro esercito possono essere acquistate. Esiste persino un listino prezzi. E c’è uno stabilimento, a Terni, la ex gloriosa Fabbrica delle Armi che per oltre un secolo ha sfornato i fucili destinati ai fanti italiani, ora trasformato in Museo e in Polo il mantenimento delle armi leggere che gestisce le vendite al pubblico. 
Inutile dire che le procedure sono farraginose. Le richieste vengono smaltite di cinque anni in cinque anni. Occorrono un sacco di permessi. Le fatture vanno pagate negli uffici periferici della Banca d’Italia. E gli introiti fanno ridere. La Marina, ad esempio, che ha uno stabilimento suo e diverso da quello dell’Esercito, a Taranto, ha appena messo sul mercato un fucile Enfield a 91,75 euro. Con altri trenta euro si prendono anche la baionetta e il fodero originale in cuoio. E’ uno Stato che non conosce i prezzi di mercato. Questi Enfield passati per le armerie delle navi viaggiano sui duemila euro a pezzo. Sempre a Taranto, pare che abbiano venduto tutto d’un fiato uno stock di pistole Colt 1911, a novanta euro l’una, che ora troneggiano in molte collezioni private.

FRANCESCO GRIGNETTI

su LA STAMPA

 

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