venerdì, febbraio 13, 2009

Sull'eutanasia

Sull'eutanasia - seconda parte

 

INDRO MONTANELLI

Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un’idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no, la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E, quindi, io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e come della nostra morte”.

Così Indro Montanelli ebbe ad esprimersi nel corso di un suo più articolato intervento in uno dei convegni promossi dalla Fondazione Floriani di Milano che, in collaborazione con la sezione milanese della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, finanzia da molti anni l’attività assistenziale in favore dei malati terminali.
Partendo dal presupposto che in questo mondo esiste, tra ogni individuo, una notevole diversificazione di idee, sentimenti e comportamenti, personalmente ritengo che lo Stato, attraverso l’opera del nostro legislatore, debba tener conto di queste diversità, così come avviene di norma in tanti altri campi ed occasioni, per il semplice motivo che ogni cittadino ha il diritto di essere tutelato soprattutto in tematiche, peraltro molto limitate, dove lo sfondo materiale prevale su quello etico.
Vi sono individui onesti e disonesti, per esempio, e vengono puniti, purtroppo non sempre, i secondi; c’è chi le sopporta e chi ha paura o non sopporta le terribili inutili sofferenze che, nei malati terminali, nemmeno le c.d. “cure palliative” valgono a lenire: dobbiamo premiare questi ultimi facendo subite loro una vera e propria continua tortura sino a che morte non sopraggiunga ? Il tutto nonostante l’assidua assistenza medica e farmacologica, ripeto, “palliativa”.
Basterebbe che coloro i quali sono, dichiarandosene apertamente, alle volte anche con argomentazioni semplicemente ridicole, contrari all’eutanasia decidessero di farsi qualche giretto in certi Istituti per toccare con mano la realtà delle condizioni in cui “vegetano” questi sfortunati.
Non lo faranno mai, ne sono certo, perché hanno paura di accorgersi d’avere sino ad oggi sbagliato nel valutare questa situazione, frutto di preconcetti derivanti da un atavico retaggio tenuto costantemente in vita da energici e convincenti lavaggi del cervello.
Nella situazione in cui versano questi malati terminali il concetto della vita e della morte è diverso da quello che può e deve avere in altri campi e situazioni come per esempio, almeno sino ad oggi, in alcuni reati previsti e puniti dal nostro codice penale Rocco nel Titolo XII (Delitti contro la vita……); mi riferisco in particolare all’art.
579 C.P. (Omicidio del consenziente), la cui formulazione risale al periodo in cui Mussolini arringava gli italiani a procreare per raggiungere in breve il “milione di baionette” ed allorché la religione cattolica apostolica romana era la nostra religione di Stato.
Però, contemporaneamente ed in contrasto con il concetto religioso della vita, vigeva la pena di morte per alcuni reati comuni previsti dal Codice Penale ed in alcune leggi speciali, abolita poi dal Decreto Legislativo 10 agosto 1944 n. 224 e dal Decreto Legge 22 gennaio 1948 n. 21 i quali commutavano la pena capitale, laddove prevista, in quella dell’ergastolo.
I tempi cambiano e con loro le leggi, gli usi ed i costumi ed anche la mentalità di un popolo rimasto oppresso per un lungo ventennio; un tempo coloro che venivano riconosciuti dai Tribunali di Inquisizione della Chiesa come eretici venivano spediti per direttissima sul rogo, le Crociate erano Sante, oggi ogni guerra è solo un mezzo per distruggere uomini e cose.
Ma, nonostante ciò e che, anche se qualcuno l’ha messo ora in dubbio, l’uomo sia riuscito addirittura a lasciare le proprie orme sulla Luna, oggi non siamo ancora riusciti a dare una soluzione definitiva sulla cura di certe malattie proprio per una certa ostinata ottusità di molti politici i quali si impuntano, nascondendosi dietro alcuni paraventi sofistici, a non voler neanche tentare di comprendere i desiderata di questi sofferenti che, pur rappresentando una minutissima parte rispetto all’intera popolazione, avrebbero invece estremo bisogno, più degli altri, di trovare una maggior comprensione della loro estrema sofferenza e della loro conseguente volontà.
Mi fermo qui per oggi, ma ritornerò su questo argomento per spiegare le differenze che intercorrono tra alcuni termini, più o meno collegati all’argomento ora in trattazione, affinché ciascuno possa ragionare su questi argomenti con la propria testa con cognizione di causa:
· eutanasia;
· testamento biologico;
· accanimento terapeutico.
Vedremo inoltre di dare uno scorcio alle legislazioni già vigenti in materia in altre nazioni.
Ricordatevi che ogni persona ha il diritto di essere informata perché solo in tal modo può maturare una propria determinazione consapevole.
Io dico la mia ma non per questo ritengo di avere in mano la verità assoluta ma, quanto meno, il viso di quel ragazzo paraplegico, l’ho visto con i miei occhi; forse in quel momentaneo incontro ha voluto che narrassi alla prima occasione il suo appello di morte e non di vita, ammesso che possa considerarsi vita quella di una giovane persona immobile al 100 % per sempre: lui si considerava “morto” dal giorno dell’incidente, ed erano ancora trascorsi appena quattro mesi.

FINE della II^ parte

segue

 

 

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