martedì, aprile 07, 2009

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RIFLESSIONI A CALDO SUL DISASTROSO TERREMOTO CHE HA COLPITO L’ABRUZZO
CON PARTICOLARE RIGUARDO LA PROVINCIA TUTTA DE
L’AQUILA
.
Ma in Italia non si muore solamente sotto le macerie di casa tuta; si muore per il lavoro che fai, sul posto di lavoro, per una malattia misconosciuta dai curanti, per l’esplosione di una bombola di gas, per colpa dell’aria mefitica che respiriamo.

Oltre al cordoglio di tutta l’Italia per la popolazione colpita da sì grande disastroso evento occorre rimboccarsi le maniche e svuotarsi, per chi se lo può ancora permettere, le tasche.
Miseria più miseria non fanno due miserie ma una vera e propria catastrofe e chi ne risentirà più di tutti saranno i soliti:
la povera gente che non ha più la loro vecchia casa ereditata e passata da generazione in generazione, mal conservata per l’impossibilità di rammodernarla con interventi opportuni anche per la sua stabilità.
Ma non è questo il momento di sollevare polemiche, incominciando da quella della prevedibilità o meno dei terremoti e, in particolare, di questo.
In qualunque modo verrà risolto questo dubbio, i se ed i ma su questi temi non sono ammessi poiché occorro risposte sicure suffragate da prove concrete e non da teorie campate in aria, magari risalenti ai temp del Carlo Cudega, come disen a Milan.
Ma, proprio a Milano e dintorni, tutta la Lombardia insomma, se non si muore per colpa di un terremoto si va all’altro mondo in maniera poco appariscente, lentamente, giorno dopo giorno, ora dopo ora, ma chi di dovere fa finta di niente.
Parlandone un po’ in giro mi han detto che ce l’ho col Formigoni e con la Moratti ed allora apro il mio L’Espresso e lo sbatto sul muso dei miei scettici interlocutori.
Pensa un po’ mi han detto, non credevo che fosse così allarmante la nostra situazione, e dire che, rispetto ad anni addietro, il vento si fa sentire, eccome se si è fatto sentire; volava tutto per aria, anche i vasi dai balconi messi lì in malo modo.
Una bella inchiesta da parte dei due giornalisti de L’Espresso che hanno quanto meno avuto l’ardire di rompere quel muro di silenzio che impedisce ai cittadini di conoscere come stanno in tema di ambiente come stanno effettivamente le cose.

TANTO PER SAPERE
LE MODERNE CAMERE A GAS
da L’Espresso

QUEL TRAFFICO CI AVVELENA

Da dove vengono le polveri sottili in Lombardia (in percentuale)Fonte: Pier Alberto Bertazzi,
Inquinamento atmosferico e malattie cardiovascolari, novembre 2008

Trasporti
60%
Combustione
e
Altre lavorazioni industriali
19%
Produzione energia elettricaù
10%
Riscaldamento
7%
Altri Trasporti
2%
Trattamento rifiuti
2%
Gas tossici in Val Padana
di
Luca Carra e Luca Piana
La verità nascosta sull'inquinamento in Lombardia:
dove l'anidride carbonica e le polveri sottili crescono a dismisura.
Mentre aumentano le malattie causate dallo smog.

Vai a capirli, gli svizzeri.
Gli italiani di Lombardia invidiano il loro federalismo e, quando possono, depositano nelle banche di Lugano un fiume di quattrini e quelli vogliono multarli per eccesso di inquinamento.
Proprio così. L'iniziativa è partita da due deputati ticinesi, Milena Garobbio e Raoul Ghisletta.
Il ragionamento è questo.
Visto che gli sforzi fatti dal Canton Ticino per combattere l'inquinamento vengono vanificati dallo smog che supera il balcone delle Prealpi, che almeno la Lombardia risarcisca i danni causati dalla sua "manifesta attitudine passiva nell'ambito del risanamento dell'aria". Le autorità svizzere hanno per il momento respinto la richiesta, preferendo invocare maggiore collaborazione.
Chissà che cosa direbbero, però, i due puntigliosi deputati ticinesi se potessero leggere un rapporto che i sindaci lombardi e gli altri addetti ai lavori stanno ricevendo proprio in questi giorni.
Si intitola
'Progetto Kyoto Lombardia'
e arriva a conclusioni così imbarazzanti sul dissesto ambientale in atto da aver indotto la Regione a consigliare l'autore - la Fondazione Lombardia per l'Ambiente - a tenere un basso profilo nel diffonderne i contenuti.Come accade spesso con i libri messi all'indice, la lettura delle 278 pagine del volume si rivela però di estremo interesse.
Frutto del lavoro di decine di ricercatori di sei diverse università e di numerosi centri di ricerca, lo studio è molto chiaro nel dipingere una situazione di emergenza e le difficoltà comuni a tutte le amministrazioni italiane nel rispondere alla sfida posta dal cambiamento del clima.Sul fronte dell'inquinamento, a dir la verità, il confronto con il passato non è sempre privo di buone notizie.
In Lombardia, ad esempio, i dati ufficiali dicono che la chiusura di molte fabbriche, la trasformazione delle caldaie domestiche da gasolio a metano e la diffusione di motori più moderni ha fatto diminuire rispetto ai primi anni Novanta la quantità delle polveri sottili che avvelenano l'aria.
Allo stesso tempo, però, la Pianura Padana, chiusa dalle montagne che frenano il ricambio dell'aria e favoriscono la deleteria alta pressione, resta una delle aree più inquinate d'Europa, stando alle ultime stime diffuse dalla Commissione di Bruxelles.
E il calo delle polveri sottili che si era registrato fino a una decina d'anni fa, ora ha perso forza e la tendenza è verso un sostanziale appiattimento.
Una situazione che contribuisce a far condividere alla Pianura Padana un record di Belgio e Olanda che nessuno invidia: il più alto livello di mesi di vita che, nella cruda statistica, ogni cittadino brucia per effetto delle malattie mortali legate all'inquinamento (15 a testa, contro gli otto della media italiana).
Non bastano però alcuni dati in chiaroscuro per attenuare la durezza dell'analisi del rapporto 'Progetto Kyoto Lombardia'.
Come dice il titolo, il lavoro è incentrato sui risultati ottenuti nel controllo delle emissioni dei gas ammazza-clima, a cominciare dall'anidride carbonica.
Il protocollo firmato nel 1997 nella città giapponese imponeva all'Italia una riduzione delle emissioni del 6,5 per cento entro il 2012 rispetto ai quantitativi del 1995.
Da allora, invece, in Lombardia la situazione è costantemente peggiorata: il rapporto fotografa un incremento complessivo del 15 per cento. Tre punti in più rispetto alla media italiana (dove le emissioni sono cresciute comunque del 12 per cento), che piazzano la Regione presieduta da Roberto Formigoni a una distanza ormai sostanzialmente incolmabile rispetto agli obiettivi fissati a Kyoto.
Prima in Italia per popolazione e per rilevanza dell'industria, la Lombardia sputa in atmosfera più di 90 milioni di tonnellate di anidride carbonica l'anno.
E se la chiusura o la delocalizzazione all'estero di molte fabbriche ha alleggerito il peso dei fumi industriali, e i loro effetti negativi, il costante aumento del traffico ha dato una mazzata impossibile da assorbire.
La sconfitta, è ovvio, non è solo lombarda.
Sono rarissime le città che non hanno alzato bandiera bianca nella lotta al traffico.
Gli interventi dei sindaci sono spesso poco più che simbolici, come le biciclette comunali in affitto (o 'bike sharing', in inglese) che accomunano Milano a Roma.
E non manca chi, come l'assessore all'Ambiente di Treviso, Vittorio Zanini, cerca fantasiose fughe dalle proprie responsabilità:
"Chiediamo all'Europa lo stato di calamità naturale",
ha proposto di recente dalle pagine del quotidiano 'Libero'.
Sta di fatto, però, che la densità della popolazione, unita agli scarsi investimenti nei trasporti pubblici, in Lombardia pesa.
E i gas di scarico delle auto contribuiscono ormai alle emissioni di anidride carbonica per il 23 per cento del totale, superando le caldaie condominiali (al 21 per cento) e gli impianti industriali.
Uno dei risultati più preoccupanti di questa deriva è indicata dal rapporto nell'aumento delle temperature medie.
Se il freddo, le nevicate e la pioggia dell'ultimo inverno hanno dato un po' di respiro, il quadro generale non lascia molti dubbi: in un secolo la temperatura media regionale è aumentata di un grado centigrado e negli ultimi anni si è registrata un'accelerazione particolarmente violenta, per i tempi lunghi della natura, nelle città.
A Milano lo scudo di cemento che isola il terreno ha provocato una sorta di bolla di calore, con la temperatura media che in un solo decennio è cresciuta di 1,8 gradi.
Il collasso climatico ha diverse ripercussioni sulla vita quotidiana dei cittadini lombardi e sul sistema economico regionale. I primi effetti, evidentemente, riguardano la salute ma l'elenco è lungo e variegato. Comprende l'aumento delle alluvioni, le frane, i danni sempre più profondi all'agricoltura, la carenza d'acqua.
Per quel che riguarda la salute, il rapporto si sofferma in particolare sugli effetti più direttamente legati all'aumento delle emissioni di gas. Tutti ricordano l'estate bollente del 2003, quando a causa dell'afa persistente si calcola che siano morte solo in Lombardia oltre duemila persone in più rispetto all'anno precedente, e ben 35 mila in tutta Europa.
E anche l'esplosione dei casi di allergia e di asma, determinata dall'effetto del caldo sui normali ritmi di pollinazione delle piante, sono fenomeni che ormai appartengono all'esperienza comune.
Per comprendere bene la portata dell'inquinamento, occorre però uscire un momento dai confini del rapporto.
Proprio in Lombardia, infatti, una serie di ricerche condotte a livello universitario negli ultimi anni hanno approfondito i meccanismi con i quali agisce sulla salute un altro fattore d'inquinamento, la concentrazione nell'aria delle polveri sottili.
Da tempo ormai gli abitanti delle città più grandi come quelle più piccole convivono con livelli di polveri che, per molti giorni durante l'anno, sono superiori alle soglie d'attenzione indicate dall'Unione Europea.
Nell'inverno da poco finito la situazione è un po' migliorata, grazie alla neve e alle piogge frequenti, ma anche in questo caso è davvero difficile parlare di un'inversione di tendenza.
Al punto che, per i continui sforamenti, l'Unione europea ha avviato nei confronti della Regione una procedura d'infrazione che potrebbe costare ai contribuenti lombardi una multa di 800 milioni di euro, se Formigoni e la sua giunta non prederanno contromisure convincenti. L'Unione europea ha ben chiaro che, al di là delle scelte politiche, in ballo ci sono questioni molto concrete di salute dei cittadini.
Perché è noto l'impatto devastante che polveri e smog hanno su malattie respiratorie e cardio-circolatorie, e, di più, che oscillazioni molto piccole nella quantità di polveri presenti nell'aria si traducono in rischi difficili da immaginare.
Negli ultimi anni un gruppo di ricercatori del Policlinico di Milano ha condotto una serie di studi sulle malattie cardiovascolari, la prima causa di morte nel mondo occidentale.
In particolare gli scienziati hanno incrociato i dati sull'inquinamento rilevati giorno per giorno nelle strade lombarde dall'Arpa con quelli delle persone colpite da trombosi venosa.
"Si trattava di pazienti dei quali conoscevamo l'indirizzo, e quindi abbiamo potuto definire con buona approssimazione i livelli di inquinamento ai quali erano stati esposti", spiega Pier Mannuccio Mannucci, uno degli autori.
I primi risultati sono stati pubblicati nel maggio del 2008 e suonano in modo piuttosto preoccupante.
Un incremento minimo nella media annua di polveri sottili, le cosiddette PM10, pari a 10 milionesimi di grammo per metro cubo d'aria, si traduce in un aumento del 70 per cento del rischio di trombosi.
Partendo da questi risultati, e studiando i medesimi parametri su oltre 1.200 persone, i ricercatori del Policlinico hanno avviato un secondo studio, che ora è in fase di completamento.
I risultati, che almeno in parte 'L'espresso' è in grado di anticipare, sono inquietanti.
Ma anche sorprendenti, perché ribaltano la percezione diffusa di vivere in una nuvola indistinta di pulviscolo - quella che Pier Alberto Bertazzi, un altro degli autori, definisce con efficacia come "un aerosol di particelle solide e liquide" - dove tutti respiriamo le stesse porcherie, con le medesime conseguenze.
Non è così.
"La verità è che vivere a pochi metri da una strada trafficata, come può essere la cerchia dei Navigli a Milano, è più pericoloso che abitare in una strada laterale. Oppure, se volete un altro esempio, vivere a Bergamo alta, dove circolano meno automobili, è molto meglio che stare a Bergamo bassa", spiega Mannucci.
Per dare una misura del pericolo, si può dire che il rischio di essere colpito da una trombosi venosa aumenta di quasi il 50 per cento per le persone che vivono lungo una strada a intenso traffico, rispetto a chi abita invece a una distanza di 250 metri.
Man mano che ci si allontana, diminuisce linearmente il rischio di ammalarsi.
Il rischio di essere colpiti da una trombosi venosa nei giovani non è frequente.
Ma man mano che l'età avanza, diventa sempre più consistente.
E l'associazione con una vita passata lungo una strada sempre zeppa di automobili, magari abitando ai piani bassi, può diventare un killer.
Al punto che Mannucci butta lì una provocazione:
"Sembra paradossale ma non sarebbe così insensato se il sistema sanitario, assieme agli altri fattori di rischio come l'età o l'obesità, considerasse anche il livello di smog respirato una buona ragione per assumere farmaci anticoagulanti".
Questa dunque è la Lombardia, ma questo è tutto il Nord Italia, a meno di vivere sui passi alpini.
Qui i cittadini stanno silenziosamente pagando un conto che diventa, giorno dopo giorno, sempre più salato.
Perché accanto ai rischi per la salute, l'inquinamento colpisce in maniera diretta la ricchezza della regione.
E qui torna di nuovo d'aiuto il rapporto elaborato dalla Fondazione Lombardia per l'Ambiente e destinato alla semi-clandestinità.
Protagonisti sono nuovamente i gas che contribuiscono all'effetto serra e che impattano direttamente sul sistema produttivo dell'intera area. Innanzitutto con il clima pazzo che osserviamo ogni giorno e che gli esperti chiamano "polarizzazione dei fenomeni meteorologici": le piogge si fanno torrenziali, il caldo estivo può trasformarsi rapidamente in siccità.
Risultato: occorre mettere in conto un aumento di frane e alluvioni nei mesi freddi e un'agricoltura assetata da maggio in avanti.
Gli autori quantificano in più di un miliardo di euro i danni possibili nei prossimi anni alle infrastrutture colpite da frane e allagamenti.
E, a causa della siccità, ancora più severe potrebbero rivelarsi le ripercussioni sulle coltivazioni più diffuse in Lombardia, come il mais e il frumento.
L'agricoltura, infatti, continua ad occupare circa tre quarti del territorio della regione, magari ritagliandosi gli spazi residui fra i capannoni delle fabbrichette e le strade statali, e già oggi si trova periodicamente a corto di risorse idriche, per le quali deve combattere contro gli usi civili e quelli industriali.
La temperatura, informano i tecnici, ha poi un effetto diretto su alcune produzioni più pregiate, come ad esempio l'uva per fare il vino.
E secondo gli autori del rapporto 'Kyoto Lombardia' proprio il vino è una delle antenne più sensibili ai cambiamenti climatici.
Il caldo aumenta infatti il tasso alcolico e può far perdere gli aromi caratteristici della produzione lombarda, mettendo a repentaglio un mercato che attualmente fattura circa 800 milioni di euro.
Per non parlare di conseguenze al limite della curiosità, che non si sa se catalogare come novità interessanti o paradossi del clima:
"I cambiamenti climatici stanno già spostando le colture dell'ulivo a ridosso delle Alpi", scrive Alessandra Goria, ricercatrice della Fondazione Mattei:
"Mentre il clima diventa più favorevole alla coltivazione dei pomodori e del grano duro per la pasta".
Mantova come Villa Literno?
Bisogna vedere se queste novità avranno superato il gelo dell'inverno appena passato, che con un freddo ormai quasi inconsueto potrebbe aver riportato un po' indietro le lancette.
Riservando qualche altra impensabile bizzarria.
Un merito, però, va riconosciuto alla Lombardia: quello di aver delineato la diagnosi di questo scacco climatico prima e meglio degli altri. Sembra però che i rapporti degli scienziati e delle associazioni ambientaliste si accumulino sui tavoli di chi prende le decisioni senza che nessuno ci badi molto.
Perché non si vedono né si prevedono possibili strategie politiche per tentare di mitigare o quanto meno adattarsi agli sconvolgimenti in arrivo.
"I dati indicano che la Lombardia non è molto diversa dalle altre regioni italiane, come le sue istituzioni forse amano immaginare", spiega Stefano Caserini, docente di Fenomeni di inquinamento al Politecnico di Milano e autore del capitolo sulle emissioni del Rapporto:
"Mancano politiche sia nazionali che regionali per controllare le crescita delle emissioni e il riscaldamento del clima".
Secondo lo studioso, strategie possibili ce ne sarebbero:
"In Lombardia si dovrebbe agire soprattutto sui trasporti".
Ora che la Regione, con la sua rete che si prevede in forte crescita di tangenziali e autostrade sarà più che mai a misura di Tir e automobili, tuttavia, un passo indietro pare difficile, come conferma Marzio Galeotti, economista ambientale dell'Università di Milano e curatore nel rapporto del capitolo su scenari e politiche:
"Negli ultimi anni le emissioni di anidride carbonica da parte delle automobili sono diminuite per i miglioramenti tecnologici.
Peccato che nel frattempo siano aumentati la cilindrata e i chilometri percorsi delle auto in circolazione, vanificando così i miglioramenti".
(26 marzo 2009)
Giudicate voi.


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