martedì, maggio 19, 2009

Chi è Roberto Alajmo ?


ROBERTO ALAJMO
Ancora sconosciuto ai più, come risulta da una mia indagine effettuata tra parenti ed amici, anche tra quelli che abitano in Sicilia.
Oggi su l’Unità è stato pubblicato un suo articolo dal titolo
QUELLA SPIA CHE SI E’ FULMINATA
con il quale mette a nudo l’attuale comportamento di moltissimi italiani
riguardo al loro nuovo modus vivendi una volta liberato dal loro intimo il sentimento della vergogna per molti anni tenuto represso.
Ma prima di proporvi questo articolo, che mette a nudo questo allarmante nostro momento storico interno, ho ritenuto di presentare questo scrittore all’occhio di chi avrà la pazienza di leggermi.
Ho, quindi, tratto un suo curriculum professionale
da

Di lui sappiamo che ha pubblicato
“Almanacco Siciliano delle morti presunte” (Edizioni della Battaglia, 1996, premio “Feudo di Maida”),
“Le scarpe di Polifemo” (Feltrinelli, 1998, premio “Arturo Loria”),
“Notizia del disastro” (Garzanti, 2001, premio Internazionale Mondello),
“Cuore di Madre” (Mondadori 2003, premio Campiello, secondo classificato al premio Strega),
“Nuovo repertorio dei pazzi della città di Palermo” (Mondadori, 2004),
“È stato il figlio” (Mondadori, 2005, premi SuperVittorini e Super Comisso, finalista al premio Viareggio),
“Palermo è una cipolla” (Laterza, 2005),
“1982. memorie di un giovane vecchio” (Laterza, 2007),
“La mossa del matto affogato” (Mondadori, 2008).
Sappiamo anche che ha scritto per il teatro:
“Repertorio dei pazzi della città di Palermo”,
“Centro divagazioni notturne”
il libretto dell’opera “Ellis Island”, per le musiche di Giovanni Sollima.
E sappiamo infine che Andrea Camilleri ha detto di lui:
“…poi c’è Roberto Alajmo, autore del ‘Repertorio dei pazzi della città di Palermo’ e di un altro gran bel libro che è ‘Notizia del disastro’.
Voglio dire, c’è gente brava…”.
Quello che ancora non sapevamo di lui, però, era proprio la natura di questo suo conflittuale rapporto con il giornalismo e di questo suo viscerale amore per Palermo.
Così, davanti a un caffé caldo, in un freddo giorno di dicembre, abbiamo soddisfatto tutte le nostre curiosità.
Roberto Alajmo è sempre stato, per tutti i siciliani, un volto noto del Tgr…ma adesso che fai?
Mi dedico esclusivamente alla scrittura.
Ho smesso di fare il giornalista tre anni fa e sono passato dalla redazione siciliana del Tgr a Rai Educational, per cui lavoro come editor consulente di Agrodolce.
Perché questa scelta?
Perchè vorrei approfondire le notizie, ma i ritmi incalzanti del mestiere di cronista non me lo consentono.
Questo preferire la quantità alla qualità è una cosa che non ho mai sopportato…per cui, delle due, l’una: o io non sono tagliato per il giornalismo o il giornalismo non è tagliato per me…
Eppure è un mestiere che hai fatto per tanti anni…
Beh, sì: ho cominciato a muovere i miei primi passi in questo ambiente a metà degli anni ’80, come pubblicista: lavoravo al Giornale di Sicilia. Nel ’90 sono diventato professionista e poi sono passato alla Rai.
Qual è la tua occupazione attuale?
Scrivo i miei libri, alcune delle puntate di Agrodolce, commenti per l’Unità e faccio conferenze.
Questa è la mia vita.
Ha dei ritmi più tranquilli e mi permette di vivere in maniera più piena. Ho lasciato anche la scrittura di testi per il teatro, perché è un’attività che ti costringe ad accettare dei compromessi e poi perché – diciamoci la verità – la televisione paga di più e rappresenta la mia fonte di sostentamento principale in questo momento.
È solo questa la tua principale fonte di sostentamento?
Ovviamente non solo.
L’esperienza con Agrodolce è una cosa che mi diverte enormemente, perché mi permette di confrontarmi con qualcosa che non conoscevo, ma soprattutto per via del lavoro certosino che c’è dietro ogni puntata della “soap” e che la gente non conosce.
Sai che per 25 minuti di episodio lavorano circa 15 autori?
È un lavoro corale anche quello che avviene dietro le quinte, insomma.
Ed è anche un modo per far conoscere la tua opera al grande pubblico.
Anche se già come scrittore sei piuttosto noto, non solo al di fuori dei confini della Sicilia, ma anche al di fuori dei confini dell’Italia…
Sì, in effetti, i miei libri sono più letti in Francia e in Germania che in Italia.
In quei paesi, “Palermo è una cipolla” – tanto per fare un esempio – ha ottenuto più recensioni che nella stessa città in cui è stato scritto e di cui parla.
Vivere a Palermo, anziché a Roma, consente di avere più tempo per scrivere, piuttosto che dover essere costretti a fare una costante attività di pubbliche relazioni, come nella capitale.
Immagino che questo sia un bene per te…
Certo, perché in questo modo cerco di spiegare, attraverso i miei libri, ma anche attraverso le presentazioni di questi ultimi, specialmente quando mi trovo all’estero, che Palermo non è esattamente sinonimo di mafia, ma che la situazione è molto più complessa di quanto si possa pensare.
I tuoi lettori stranieri lo capiscono?
Tutto sommato, credo di sì. Indipendentemente dai luoghi comuni, infatti, c’è un grande interesse nei confronti della nostra città, soprattutto in Germania.
Un palermitano, che a Roma può essere considerato semplicemente un provinciale, a Parigi è invece un esotico e questo la dice lunga sul fatto che sia più facile relazionarsi con un pubblico straniero, anziché con quello italiano.
E con Palermo, come ti relazioni?
Qual è la prima cosa che te la fa venire in mente?
Palermo è un rudere, oltre che il culto quasi religioso che riserva alle sue stesse rovine.
Nell’encyclopédie di Diderot e D’Alambert, Palermo era “un’antica città distrutta da un terremoto”: questa, insomma, è sempre stata considerata una città spacciata, ma archeologicamente rilevante e, soprattutto, abitata da gente che ha sempre vissuto tra i suoi monumenti.
In mezzo alle macerie c’è, dunque, qualcosa di bello?
Io sono fiducioso.
Ritengo che da qualche parte ci sia sempre un seme nascosto: un ragazzino che possa restituirle dignità…un futuro Falcone, magari…
Non credo che abbiamo ancora toccato il fondo: è sempre possibile scavare.
Ma Palermo saprà rialzarsi.
Pensi che sia già successo in passato?
Penso che la storia faccia degli strani percorsi.
Subito dopo le stragi del ’92 abbiamo vissuto il nostro momento più alto, perché la consapevolezza della borghesia colta e il senso di colpa di quella che fino a quel momento aveva coabitato con la mafia fecero sì che nascesse quella straordinaria rivolta.
A un certo punto, però, i palermitani hanno ritenuto di aver pagato abbastanza e si sono nuovamente ripiegati su se stessi.
Esistono esempi simili anche nel presente?
Addiopizzo potrebbe essere uno di questi, ma ho imparato a mie spese che le disillusioni fanno più male di ogni altra cosa e adesso ti dico solo che è ancora presto per dire se sia realmente così.
Ai tuoi ritmi più tranquilli abbiamo già rubato fin troppo tempo.
Ti lasciamo chiedendoti un’ultima cosa: che libro stai scrivendo per ora?
Sto scrivendo una sorta di atlante siciliano, qualcosa di simile a “Palermo è una cipolla”, ma esteso a tutta l’isola.
Il resto lo scoprirete a pubblicazione avvenuta.
Segue l’articolo
QUELLA SPIA CHE SI E’ FULMINATA

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